La luna nel pozzo - indice
TERZO INCONTRO - parte seconda
La
molteplicità nelle Lezioni Americane
"Enciclopedia, metodo di conoscenza e
soprattutto rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra
le cose del mondo". Calvino nelle Lezioni Americane
parla in questo modo della molteplicità del romanzo contemporaneo.
Una interpretazione che richiama per analogia il mondo di Internet,
una metafora che può diventare strumento di lavoro, metodo
per costruire complessità e collegamenti in preparazione
di eventuali semplificazioni.
Il primo autore citato è Gadda:
egli vede il
mondo come un "sistema di sistemi", in cui ogni sistema
singolo condiziona gli altri e ne è condizionato
cercò
per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio,
o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile
complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli
elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni
evento.
Gadda,
Musil, Proust, Perec
Nel nono capitolo di Quer pasticciaccio
brutto de via Merulana, Gadda dedica cinque pagine alla descrizione
di un pugno di gioielli, di cui qui riporto un breve passo:
Il corindone, pleòcromi cristalli, si appalesò tale
di fatto sul bigio-topo dell'ambienza, venuto da Ceylon o di Birmania,
o dal Sima, nobile d'una sua strutturante accettazione, o verde
splendido o rosso splendido, o azzurro notte, anche, un anello,
del suggerimento cristallografico di Dio: memoria, ogni gemma,
ed opera indivisa dentro la memoria lontanissima e dentro la fatica
di Dio: verace sesquiossido Al2 O3 veracemente spaziatosi nei
modi scalenoedrici ditrigonali della sua classe, premeditata da
Dio: a dispetto del valore-lavoro del Tafàno
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana,
Milano, Garzanti, 1991
Dopo Gadda, entra in scena uno dei giganti
della letteratura del '900, Robert Musil con "L'uomo senza
qualità", di cui riporto qui di seguito il famoso
incipit.
"Sull'Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione
orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non
mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi
verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportavano a
dovere. La temperatura dell'aria era in rapporto normale con la
temperatura media annua, con la temperatura del mese più
caldo come con quella del mese più freddo, e con l'oscillazione
mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della
luna, le fasi della luna, di Venere, dell'anello di Saturno e
molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni
degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell'aria aveva la
tensione massima, e l'umidità atmosferica era scarsa. Insomma,
con una frase che quantunque un po' antiquata riassume benissimo
i fatti: era una bella giornata d'agosto dell'anno 1913.
Robert Musil, L'uomo senza qualità, Torino, Einaudi,
1972
E non poteva mancare Proust con la sua Recherche,
di cui ricordo le pagine che descrivono i rumori che egli, disteso
a letto, ode trapelare dalle finestre la mattina di buon'ora.
Fuori, temi popolareschi finemente composti per strumenti
diversi - dal corno del raccomodatore di porcellane o dalla tromba
dell'impagliatore di sedie sino al flauto del capraro, il quale
in una bella giornata sembrava un pastore di Sicilia - orchestravano
lievemente l'aria mattutina in una "overtoure per un giorno
di festa". L'udito, questo senso delizioso, ci dà
la compagnia della strada, di cui ci rintraccia tutte le linee,
ci disegna tutte le forme che vi passano, mostrandocene il colore.
Le saracinesche di ferro del fornaio, del lattaio, che la sera
prima s'erano abbassate su tutte le possibilità di felicità
femminile, si alzavano ora, come le leggere carrucole di una nave
in procinto di salpare e di filare, attraverso il mare trasparente,
sopra un sogno di giovani commesse. In un altro quartiere, quel
rumore delle saracinesche sarebbe forse stato l'unico mio godimento;
in quello dove abitavo, cento altri facevano la mia gioia, e non
ne avrei voluto perdere uno, restando addormentato fino a tardi.
(...) Certo la fantasia, l'estro di ogni venditore o venditrice
introducevano spesso alcune varianti nelle parole di quelle musiche,
che ascoltavo dal mio letto. Tuttavia, un arresto rituale, che
intercalava nel bel mezzo d'una parola una pausa, richiamava costantemente
il ricordo delle vecchie chiese. Nella sua carrozzella tirata
da un'asina, che fermava davanti a ogni casa per entrare nei cortili,
il robivecchi, impugnando una frusta salmodiava: "Abiti,
compro abiti, abi
ti!", intercalando, tra la seconda
e l'ultima sillaba di "abiti", la stessa pausa che se
avesse intonato in canto fermo: Per omnia saecula saeculo
rum
ovvero Requiescat in pa
ce. Eppure, non credeva certo all'eternità
della sua merce e nemmeno la offriva come lenzuola funebri per
il supremo riposo nella pace. Similmente, poiché sin da
quell'ora mattutina i vari musicali cominciavano a intrecciarsi
tra loro, un'erbivendola, spingendo il suo carretto, usava per
il suo carretto la divisione gregoriana:
(
)
pur ignorando, con ogni verosimiglianza, l'antifonario e i sette
toni, simboleggianti quattro le arti del quadrivio e tre quelle
del trivio. Cavando da uno zufolo, da una cornamusa, delle arie
del suo paese del Mezzogiorno, la cui luce ben si armonizzava
con la bella giornata, un uomo in blusa, che impugnava un nerbo
di bue e aveva in testa un basco, si fermava davanti alle case.
Era il capraro
"
Marcel Proust, La Prigioniera, Torino, Einaudi, 1978
Sia per Proust, che per Musil e Gadda, la
molteplicità si dilata a tal punto da risultare inconciliabile
con la capacità a concludere, è una molteplicità
in espansione, tutti e tre gli autori firmano delle opere incompiute.
Quello di Gadda è "un romanzo poliziesco senza soluzione".
Musil inizia a dedicarsi a L'uomo senza qualità
nel 1923; alla sua morte, avvenuta il 15 aprile del 1942, "erano
pronti, allo stato definitivo, solo quattordici capitoli della
terza parte del romanzo - scrive Cesare Cases. A questo punto,
che Musil stava ancora rifinendo il giorno della sua morte, si
interrompe il romanzo elaborato nella sua forma definitiva.
Ma i manoscritti inediti lasciati da Musil
comprendevano, oltre ai quattordici capitoli, un'enorme quantità
di materiale."
Proust comincia probabilmente la sua Recherche nel 1908 e anch'egli
si dedica in modo incessante alla sua opera fino all'ultimo: quando
muore, nel 1922, lavorava a La fuggitiva, uno dei volumi
della Recherche.
Calvino sembra non stare dalla parte della
molteplicità che porta all'incompiutezza, infatti scrive:
"tra i valori che vorrei fossero tramandati al prossimo millennio
c'è soprattutto questo: d'una letteratura che abbia fatto
proprio il gusto dell'ordine mentale e della esattezza, l'intelligenza
della poesia e nello stesso tempo della scienza e della filosofia,
come quella del Valery pensatore." E cita quindi i suoi modelli:
Jorge Luis Borges e il Il giardino dei sentieri che si biforcano,
"un racconto di spionaggio, che include un racconto logico-metafisico,
che include a sua volta la descrizione di uno sterminato romanzo
cinese, il tutto concentrato in una dozzina di pagine." Cita
il suo Se una notte d''inverno un viaggiatore, e quindi
Perec, La vita istruzioni per l'uso, un libro uscito nel
1978. " Un puzzle affascinante - come si legge in quarta
di copertina - la cui ossatura è costituita da una casa
parigina. Ciascuno dei novantanove pezzi del puzzle è un
capitolo corrispondente a un appartamento del quae Perec fotografa
gli inquilini, i loro oggetti, le azioni, i ricordi, le sensazioni,
le fantasticherie.
Riporto alcune righe che concludono il diciassettesimo
capitolo del libro:
Le scale per lui, a ogni piano, erano un ricordo, un'emozione,
e, qualcosa d'antico e impalpabile, qualcosa che palpitava chissà
dove, alla fiamma vacillante della memoria: un gesto, un profumo,
un rumore, un luccichìo, una giovane donna che cantava
arie d'opera accompagnandosi al piano, un ticchettìo maldestro
di macchine per scrivere, un odore tenace di cresile, un clamore,
un grido, un frastuono, un fruscìo di sete e pellicce,
un miagolìo lamentoso dietro una porta, dei colpi contro
le pareti, dei tanghi suonati e risuonati su fonografi sibilanti
o, al sesto a destra, il ronzìo ostinato della sega a due
tempi di Gaspard Winckler cui, tre piani più in basso,
al terzo a sinistra, rispondeva ormai solo un silenzio insopportabile.
Georges Perec, La vita istruzioni per l'uso, Milano, Bur,
1997
Perec era allievo di Raymond Queneau, che
abbiamo già incontrato e del quale Calvino riporta un pensiero
che, secondo me, condivideva appieno:
Un'altra falsissima idea che pure ha corso attualmente è
l'equivalenza che si stabilisce tra ispirazione, esplorazione
del subconscio e liberazione; tra caso, automatismo e libertà.
Ora, questa ispirazione che consiste nell'obbedire ciecamente
a ogni impulso è in realtà una schiavitù.
Il classico che scrive la sua tragedia osservando un certo numero
di regole che conosce è più libero del poeta che
scrive quel che gli passa per la testa ed è schiavo di
altre regole che ignora.
Quindi Calvino chiude il suo capitolo sulla
molteplicità dapprincipio difendendo questa letteratura
combinatoria come un'espressione del sé, che è paragonato
a un'enciclopedia, a un sistema di esperienze diverse ed eterogenee,
a una grande rete. (Il paragone, per me, può essere esteso
anche a un pozzo.)
Ma ciò a cui vorrebbe tendere Calvino
è un'uscita dal sé, per far parlare le cose che
non hanno voce come gli animali, le piante, la terra: quello che
aveva fatto Lucrezio dando un'identità diversa da sé
ma comune a tutte le cose, i semina, i primordia
(non usa mai nel suo poema il greco atomoi, da a-tomos:
in-divisibile).
Seguendo i pensieri che girovagavano sul rapporto fra regole e
molteplicità, fra luna e leggerezza, fra emozioni e sentimenti,
credo che sia venuto il momento di ricordare un'immagine straordinaria
della nostra letteratura creata da Ludovico Ariosto.
Il
viaggio di Astolfo sulla luna
Giovanni apostolo mi accompagnò sulla
luna per riprendere il senno d'Orlando. Sulla luna ci fermammo
in una valle dov'era raccolto tutto ciò che si perde sulla
terra: il successo che sulla terra rode il tempo come un tarlo,
le infinite preghiere e i voti che si fanno a Dio, le lacrime
e i sospiri degli amanti, il tempo inutile che si perde al gioco,
l'ozio degli ignoranti. I progetti e i desideri inutili erano
così tanti che occupavano più spazio rispetto alle
altre cose.
C'era un monte con le corone dei re assiri,
persiani, greci e della Lidia, personaggi una volta famosi e il
cui nome è oggi quasi sconosciuto. C'erano i regali d'oro
e d'argento che si fanno ai principi e ai padroni con la speranza
di ottenere qualcosa in cambio.
Vidi anche dei lacci nascosti nelle ghirlande e scoprii che erano
le adulazioni e i versi che si cantano per lodare i signori; avevano
l'aspetto di cicale scoppiate per il troppo cantare.
In nodi d'oro e in ceppi ornati di gemme si erano trasformati
gli amori sfortunati. I poteri che i signori danno ai loro fedeli
collaboratori erano rappresentati da artigli d'aquila. Sulle balze
scoscese c'erano delle bisacce riempite dai riconoscimenti che
i principi danno ai loro ganimedi, i cui vantaggi sono destinati
a scomparire insieme alla loro giovinezza.
Dappertutto si vedevano rovine di città e di castelli,
erano i trattati di pace violati e le congiure scoperte.
Vidi anche dei serpenti con volti di fanciulla, erano opera dei
falsari di monete e dei ladroni, poi vidi dei vasi di vetro rotti,
inutili come i cortigiani scacciati dalle corti. Una grande quantità
di minestre buttate via invece che esser date ai poveri erano
le elemosine mai eseguite: chi sta per morire spesso ordina che
sia fatta della beneficenza, ma spesso parenti e amici ignorano
la sua volontà.
Un monte coperto di fiori puzzolenti era il dono, se così
si può chiamarlo, che fece Costantino a papa Silvestro,
mentre le trappole con il vischio erano e sono le belle donne.
E c'erano tante altre cose che se tentassi di nominarle tutte
non finirei nemmeno dopo migliaia di versi. Solo la pazzia non
trovai, la pazzia infatti resta sulla terra e non se ne va mai.
Grazie al mio compagno di viaggio m'accorsi
anche di alcune mie giornate e di altre faccende personali che
avevo perso sulla terra.
Giungemmo quindi davanti a un monte, un monte più grande
e più alto di tutto quel che ho raccontato fino ad ora,
era il monte di quella cosa che ci sembra di avere in noi in modo
così certo, che per conservarla non offriamo mai dei voti
a Dio: il senno. Era un liquore leggero e sfuggente che evapora
facilmente se non si tiene ben chiuso, ed era raccolto in varie
ampolle, alcune più piccole, altre più grandi. Su
quella più grande di tutte c'era scritto: "Senno d'Orlando".
Anche le altre avevano scritto il nome di colui al quale apparteneva
il senno, e fra esse vidi la mia, ma quel che mi meravigliò
di più fu leggere molti nomi di persone che mai avrei immaginato.
C'è chi lo perde nell'amare, chi alla caccia di onori,
chi nel cercare ricchezze navigando per mare, chi sperando nei
potenti, chi seguendo le sciocchezze dei maghi, chi in pietre
preziose, chi in quadri e chi nelle cose a cui dà più
valore. Molto del senno finito sulla luna appartiene a filosofi,
astrologhi e poeti.
Io m'impossessai del mio perché me lo permise la mia guida,
Giovanni apostolo autore della terribile Apocalisse. Avvicinai
l'ampolla al naso e il senno tornò al suo posto. Da quel
momento in poi vissi da saggio, fino a che un errore non mi tolse
un'altra volta la ragione. Presi poi l'ampolla più grande,
quella dove c'era il senno di Orlando, e non era proprio leggera
come credevo. Prima di tornare verso la terra, Giovanni apostolo
mi portò in un palazzo accanto al quale scorreva un fiume.
Ogni stanza era piena di batuffoli da filare, ce n'erano di lino,
di seta, di cotone, di lana, e di vari colori sia brutti che belli.
Nel primo chiostro una vecchia con i capelli bianchi filava prendendo
i batuffoli, proprio come fa la contadina d'estate quando prende
gli involucri dei bachi al momento di raccoglier la nuova seta.
Un'altra donna finito un vello ne porta un altro, un'altra vecchia
fra le matasse sceglie fra quelli belli e quelli brutti.
"Che lavoro si fa qui, non capisco?", dissi a Giovanni
ed egli mi rispose: "Le vecchie son le Parche che con questi
fili tessono le vite degli uomini. Quanto dura uno dei batufoli
da filare, tanto dura la vita umana, non un momento di più,
e la natura si adegua a quel che viene deciso qui. I fili belli
scelti dalla vecchia vengono poi tessuti per ornare il paradiso,
mentre con i fili più brutti si formano i duri lacci dei
dannati".
Ogni batuffolo aveva una piastra con impresso un nome: ce n'erano
di ferro, altre d'argento, altre d'oro. Terminata la filatura
si formavano dei mucchi di filato che venivano continuamente portati
via da un vecchio. Quel vecchio non sembrava mai stanco, era così
veloce e snello che pareva fosse nato per correre. Quando tornava
aveva il mantello ricolmo di piastre con i nomi.
Ma perché andava avanti e indietro quel vecchio?
Quando finimmo di visitare tutte le stanze del palazzo, uscimmo
e sulle sponde del fiume che scorreva nei pressi con delle onde
torbide, il fiume Lete o dell'Oblio, incontrammo quel vecchio
che veniva verso di noi con le piastre, snello nelle membra e
più veloce di un cervo. Quando arrivava sulla sponda del
fiume scuoteva il lembo del mantello e rovesciava nelle torbide
onde le piastre con impressi i nomi. Quasi tutte sprofondavano
e sparivano ricoperte dalla sabbia.
Intorno al fiume volavano corvi e avidi avvoltoi,
cornacchie e vari uccelli, ma solo due cigni avevano il potere
di togliere qualche nome dall'oblio afferrando la piastra con
il becco e posandola su un'isola dove una bella ninfa l'appende
nel tempio della Fama.
Il vecchio che getta nel fiume tutti quei nomi, di cui solo pochi
rimane Fama, è il Tempo. E, come i cigni che portano i
nomi al tempio, così sulla terra sono i poeti, rari come
i cigni, a togliere dall'oblio gli uomini degni.
(Il testo di Ariosto è stato liberamente parafrasato)
Una
nuova storia della luna nel pozzo
Esercitazione
Abbiamo incontrato la luna creata dal "pozzo" di Ludovico
Ariosto, ma dai vostri pozzi che luna uscirà? Provate a
scoprirne una piccola parte inventando una nuova storia della
luna nel pozzo, una novella del tutto diversa da quella di La
Fontaine che potrebbe aver dato origine a questo modo di dire.
La
biblioteca di Babele
Il terzo incontro si è concluso mentre
leggevamo La Biblioteca di Babele (da Finzioni,
Jorge Luis Borges, Torino, Einaudi, 1956) e precisamente il seguente
passo: Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la
biblioteca è totale e che i suoi scaffali registrano tutte
le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici
(numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto
ciò ch'è dato di esprimere, in tutte le lingue.
Tutto: la storia minuziosa dell'avvenire, le autobiografie degli
arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia
di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi
cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo
autentico, l'evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo
evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto
veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte
le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri.