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OGNI MINUTO UN COLPO
Domenica 20 ottobre 1996, allo Shopping
Center di Conegliano era una bella mattina illuminata dal sole,
l’estate era passata, c’erano le autorità, due sacerdoti
e tante persone. C’era anche Giuseppe, che intanto era andato in
pensione, si dedicava al suo passatempo preferito, la bicicletta,
e aveva nostalgia di quando andava in Viale della Zoppas. Nel portafoglio
aveva la tessera del Circolo Anziani della Zanussi, 6.000 iscritti
in tutto, una volta era il Circolo Anziani della Zoppas.
Fra poco avrebbero parlato le autorità
per la cerimonia di inaugurazione della moderna Piazza Fratelli
Zoppas e della mostra fotografica.
Il primo a prendere la parola fu il notaio
Enrico Sartorio:
— Le cronache dei primi anni di questo
secolo raccontano di un giovane padre di famiglia che si presentò
all’agenzia della Cassamarca di Spresiano osando chiedere un prestito
senza offrire alcuna effettiva garanzia, neppure una firma di avallo
sulla rituale e immancabile cambiale. Quel prestito serviva per
una piccola bottega di commercio di ferramenta e il bancario di
fronte a questa richiesta, per la quale il giovane cliente non poteva
offrire nulla se non la sua apparenza di persona seria e perbene
desiderosa di lavorare, decise di concedere la somma di denaro,
anche a rischio del posto. Quel giovane era Ferdinando Zoppas, padre
di Francesco, Augusto e Luigi, conosciuto da tutti come Gino.
Ho avuto una lunga e attiva consuetudine
di lavoro con i fratelli Zoppas, che è sfociata in amicizia
e confidenza. Furono innanzitutto delle persone schive, lontane
da qualsiasi atto di ostentazione dei livelli sociali raggiunti,
furono uomini autenticamente semplici, di quella semplicità
che è tipica di chi è cosciente del proprio valore
e dei propri mezzi, direi alieni e indifferenti di fronte agli enormi
successi della loro vita di imprenditori. Augusto, valente, prestigioso
organizzatore dell’amministrazione, dell’attività finanziaria
e dell’attività commerciale. Gino il geniale protagonista
di tante intuizioni e di tante novità nel dirigere la fabbrica
e poi i vari stabilimenti. Francesco, pur privato della vista ancor
giovane, attivo consigliere di amministrazione, equilibrato, sempre
pronto nei momenti importanti.
Ferdinando apriva, subito dopo la guerra,
la sua piccola bottega di commercio di ferramenta sulla Salita Caprera,
ora via Marconi, vicino alla Fontana di Nettuno o, per i coneglianesi,
la Fontana dei Cavalli. Ferdinando moriva nel 1924 ancora giovane.
I tre fratelli, essendo la bottega e il piccolo commercio di ferramenta
insufficiente a mantenere le rispettive famiglie, decisero di improntare
una piccola officina per la riparazione delle cucine economiche.
Dalla costruzione di questa piccola officina nasceva poi l’idea
di fabbricare a Conegliano le cucine economiche senza andarle a
comprare in giro per il territorio nazionale e all’estero: così
intorno al 1930 si produssero le prime cucine economiche Zoppas,
costruite con un criterio rivoluzionario rispetto alle altre allora
in commercio, in quanto realizzate con un materiale leggero e riservando
il materiale pesante solo per le parti esposte al fuoco; poi arrivarono
i frigoriferi robusti, efficienti, belli nella presenza, per competere
con i quelli che allora provenivano dall’America, i Westinghouse.
E via via le prime lavatrici, le lavastoviglie e le cucine per le
grandi comunità, e ancora altri prodotti di carattere igienico-sanitario
come le vasche; mi ricordo che alla Zoppas si diceva: Ogni minuto
un colpo, ogni colpo una vasca.
Con l’aumentare delle attività
e dei prodotti, aumentavano gli stabilimenti e le maestranze che
giungevano a 7.000 dipendenti, il tutto nel solco di una condotta
imprenditoriale caratterizzata dal continuo reimpiego dei profitti
nell’ampliamento e ammodernamento degli impianti, senza dimenticare
l’attenzione e la sensibilità per le necessità della
manodopera e per la sicurezza del suo posto di lavoro. Non mancò
nei fratelli Zoppas l’impegno civico nell’amministrazione delle
Opere Pie Riunite di Conegliano, dell’Ospedale e della Casa di Riposo
Fenzi, alla quale si interessarono per dieci anni, e poi nel generoso
aiuto finanziario durante la costruzione del corpo centrale del
nuovo Ospedale alla fine degli anni cinquanta, nell’amministrazione
dell’Istituto tecnico professionale, nell’Associazione nazionale
dei ciechi, nel contributo all’avviamento della gestione del nuovo
campo sportivo di Conegliano, nell’aiuto ad associazioni assistenziali
e benefiche della Città o alle associazioni sportive a livello
coneglianese e nazionale. Ricordo l’impegno per la fornitura di
tutte le apparecchiature necessarie al villaggio olimpico di Roma
per i Giuochi Olimpici del 1960.
E vorrei chiudere con una considerazione
che tutto ciò è stato fatto con l’impegno, il lavoro,
le fatiche, il sacrificio, la tenacia, la fede di qualcuno che ci
ha preceduto nella vita, che non si è adeguato alla mediocrità,
che anche di fronte al successo ha continuato a profondere ogni
energia intellettuale e fisica nel ricercare e perseguire il meglio,
il progresso: in questo qualcuno ci sono anche Francesco, Augusto
e Luigi Zoppas con la loro vita e le loro opere. Sono questi gli
insegnamenti e i valori che in silenzio, come loro costume, hanno
consegnato alla nostra memoria e che noi indichiamo e affidiamo
ai nostri giovani.
Applausi. Giuseppe applaudiva, ascoltava
tutti, applaudiva ancora, gli venne in mente che la pressa di Ogni
minuto un colpo forse era l’enorme Werson, poi entrò nella
mostra I fratelli Zoppas a Conegliano, centinaia di immagini in
bianco e nero, tanti volti conosciuti fermati dalla pellicola, eppure
solo uno spicchio, una piccola cosa in confronto alle emozioni che
aveva vissuto, a quello che si portava nel cuore. C’era anche la
foto di gruppo intorno alla famosa cucina ’48, e sopra la cucina
il quadro con l’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Giuseppe
riconobbe subito...
Si distrasse Giuseppe, alle sue spalle
due persone parlavano della storia dell’azienda.
— Io credo che lo sviluppo della Zoppas
ha cambiato il volto della città. Pensa che nel 1948 a Conegliano
c’erano 17.710 abitanti, rispetto ai 15.434 del ’36, ma dal maggio
del ’45 al giugno del ’49 si costruirono solo 17 nuovi fabbricati.
Le case erano sovraffollate e c’era gente che andava a vivere nella
caserma abbandonata Vittorio Emanuele, dove nel ’51 abitavano ancora
96 famiglie di abusivi, gente sfollata o sfrattata dalle proprie
abitazioni. Immagina che cosa poteva significare in questo contesto
la crescita di una fabbrica che dava lavoro a centinaia di persone.
— Uno storico mi ha detto che il decollo
dell’azienda avviene proprio nel 1948 con la cucina ’48, un modello
che piace e che dà una bella spinta alla crescita e al prestigio
dell’industria. Un sacco di gente lascia le campagne e viene a lavorare
in fabbrica. In catena di montaggio non diventavano ricchi, ma sempre
meglio della disoccupazione o della povertà dell’agricoltura.
— C’era anche il mobilificio Dal Vera,
un’azienda che viene ricordata poco e che all’epoca era più
famosa della Zoppas. È con queste e altre industrie che la
città cambia radicalmente, da azienda nasce azienda. Tra
il 1951, quando la Zoppas ha già circa 1.000 operai, e il
1962 il Comune concede 187 autorizzazioni per la costruzione o l’ampliamento
di fabbricati ad uso industriale, la popolazione aumenta del 25,5
per cento, più che in tutta la provincia. È in quel
decennio che Conegliano diventa città industriale e trascina
nella sua crescita i comuni vicini, da Ponte della Priula al Ponte
della Muda.
— Sì, ma fai un passo indietro.
Il processo di industrializzazione comincia secondo me da più
lontano, dalla seconda metà dell’Ottocento quando nel 1868
nasce la Società Enologica Trevisana, che diventerà
poi la Carpenè-Malvolti, la nostra prima industria moderna,
seguita nel 1884 dal Mobilificio Dal Vera, che hai appena ricordato,
un altro mito coneglianese.
— Mito, è la parola giusta, i Dal
vera e gli Zoppas sono stati qualcosa a metà fra il capitano
d’industria e Babbo Natale a cui rivolgersi per qualsiasi problema.
Ma il loro legame con Conegliano è stato debolissimo, al
di là degli imperi economici, non c’è nulla che ne
ricordi la presenza in città.
— Non sono d’accordo, sali in Castello
...
Un impero economico, non mi sembra una
cosa da nulla nella storia di una città, pensò Giuseppe,
e riprese a guardare la foto del Sacro Cuore: quello lì a
sinistra della cucina, che dev’essere un’Augusta, di quelle di lusso
però, con le cromature, quello a sinistra con le mani sui
fianchi è Camillo Buosi, il direttore dello stabilimento
che poi mise su una fabbrica per conto suo, l’altro lì vicino
con la maglia nera è il signor Gino, e quello a fianco, col
cappello Metto Zoppas, un suo cugino. La foto deve essere anteriore
alla guerra, mio fratello non c’è ancora, prima di entrare
alla Zoppas era da Daccò, producevano catenacci, cerniere,
poi presero delle commesse governative per i dischi, quelli per
il lancio del disco, e le punte dei giavellotti.
Il Sacro Cuore: a giugno, dopo il Corpus
Domini, andavamo in chiesa a San Rocco. Don Gustavo celebrava il
Sacro Cuore di Gesù, era una festa importante che ricordava
a tutti come dalla Croce e dal cuore trafitto di Gesù venisse
il suo amore per noi. Finita la messa si tornava in fabbrica.
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