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UNA ZETA A HONG KONG
Quando Giuseppe uscì dalla mostra,
mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Si incamminò lungo
via Pittoni, passò davanti a quella che era stata la sua
Scuola di Avviamento professionale industriale. Nel ’39, aveva frequentato
i corsi serali per diventare operaio specializzato. Alle lezioni
c’era anche quello che sarebbe diventato un caporeparto in Fonderia.
La Fonderia era il cuore della Zoppas, un girone dell’inferno, spettacolare,
pericoloso. La ghisa incandescente usciva dai cubilotti a circa
1.700 gradi. I cubilotti erano dei forni cilindrici, alti svariati
metri, in cui venivano fusi i rottami ferrosi insieme al coke e
a pani di ghisa pura. Uno dei lavori peggiori era quello dei colatori:
operai che portavano a braccia il recipiente con la ghisa da versare
negli stampi. La polvere e la terra degli stampi erano dappertutto,
il caldo e i fumi toglievano il respiro, anche se poi ci si faceva
l’abitudine. C’erano macchine come le Baillot o le Mold Master,
i pugni corazzati che spingevano la massa fusa e funzionavano con
l’acqua agricola. Si lavorava dalle sei della mattina alle due del
pomeriggio, e dalle quindici alle venti. Ma si cominciava anche
alle tre di mattina se c’erano delle fusioni da 80/90 quintali.
A metà degli anni sessanta venne fusa un’intera nave, i cui
rottami furono scaricati da più di 50 camion. La Fonderia
lavorava anche per conto terzi, per Lamborghini, Fiat, Same, Ford,
Carraro. Per la Fiat si fabbricavano i tamburi dei freni. Per i
trattori della Carraro il blocco motore, quello del 6 cilindri.
Giuseppe si avviò con il suo passo
svelto verso il bar della signora Emma, la cui gestione era passata
ai nipoti Jenny e Michele Vicentini. Lasciò sulla destra
la vecchia casa degli Zoppas coperta di edere e attraversò
la strada.
— Ciao, Giuseppe, cosa fai da queste parti?
Era uno dei vecchi impiegati della Zoppas,
gli anni erano passati anche per lui, Giuseppe se lo ricordava con
qualche ruga in meno e senza i capelli bianchi. Era in giacca e
cravatta come allora, i capelli all’indietro, non ce n’era uno fuori
posto, gli occhi sinceri. Cominciarono a chiacchierare dei vecchi
tempi. Parlava lentamente.
— Prima di trasferirsi in via Cesare Battisti,
gli Zoppas avevano il negozio di ferramenta, a metà della
salita del Salisà, tra il frutta e verdura e l’orologiaio.
Mi ricordo ancora quando da bambino andavo a prendere i seghetti,
i chiodini e le puntine per il traforo. C’era il signor Augusto,
c’era un portone, c’era il cortile dove il signor Gino con un operaio
o due faceva le prime cucine economiche. Adesso non ricordo bene,
ma può darsi che ancora prima fossero di fronte all’Osteria
al Ponte, in quella casa lungo il Ruio.
Quand’erano ancora a Spresiano, invece,
abitavano in via delle Case Popolari 4. Ferdinando faceva il fabbro,
e i figli andavano a fare i mercati con il carro, quello con le
due ruote grandi, che dietro aveva i cassetti per i chiodi e le
viti. Erano tempi di miseria, Gino mi raccontò che suo padre
quando aveva fame gli rispondeva: resisti, oppure gli dava il permesso
di aprire uno stipetto dove erano conservate croste di formaggio
e pane vecchio.
Poi vennero a Conegliano. Quando Ferdinando,
che aveva sposato Maria Buzzati, morì, gli zii Sara e Luigi
Buzzati fecero da genitori ai giovani Zoppas, tanto che Augusto
diceva: È stato più di un papà per noi. Fu
Luigi Buzzati a condurre la trattativa per l’acquisto dell’ex Osteria
alle Crode. Nel ’34 invece ci fu l’incidente di Francesco che con
la moto andò a sbattere contro un platano e perdette la vista.
Lo portarono anche in Svizzera ma non ci fu nulla da fare. In seguito
continuò ad occuparsi dell’azienda, meno dei fratelli però,
gestiva il negozio di ferramenta che aprirono in Corso Vittorio
Emanuele.
Luigi Buzzati era un personaggio straordinario,
era stato amministratore dei conti Paoletti, e aiutò molto
la famiglia Zoppas nei primi tempi. Era lui che teneva i registri,
era stato professore di calligrafia, aveva anche insegnato in un
istituto superiore prima della Grande Guerra. Bravissimo nel corsivo
inglese, fu lui a disegnare quella zeta particolare del marchio
Zoppas.
Buzzati era un uomo che, quando capiva
di avere di fronte uno di cui poteva fidarsi, era capace di dargli
il portafoglio in mano. Era lui che aveva istituito le buste premio
a Natale, un’usanza che nel ’48 c’era già. Alto, con i pince-nez,
più vicino all’Ottocento che al Novecento, aveva un’inusuale
capacità di vedere avanti.
La sua grande passione era la campagna,
appena gli fu possibile, nel ’52, comprò Villa Bruna a Marano
Lagunare. Con 100 milioni, di cui 25 dati dallo Stato, bonificò
i 319 ettari della villa.
Villa Bruna era un’azienda meravigliosa
con 500 capi di mucche pezzate fatte venire dall’Olanda e gli operai
in divisa. Poi comprò la tenuta di Loncòn creando
la latteria, che veniva rifornita dalle mucche di Villa Bruna. Quando
acquistò l’azienda vinicola S. Osvaldo, mi mandò dal
direttore della stazione sperimentale di viticoltura per chiedere
quale nome mettere e quello mi rispose: Avete già un bel
nome.
Buzzati si alzava alle sei di mattina
per essere presente in fabbrica fra i primi insieme a Gino. Negli
anni cinquanta, soprattutto nei mesi invernali, anche noi impiegati
lavoravamo senza soste dalle nove a mezzanotte. Venivano da varie
regioni d’Italia a prendere le cucine come il pane.
— Poi gli Zoppas conquistarono il mondo,
considerò Giuseppe, e la loro zeta arrivò a Hong Kong.
A proposito te lo ricordi quell’interessante articolo del Gazzettino
del 1963 di Vittorio Cossato, che scrisse: "Della cabala cinese,
della misteriosa potenza dei segni e dei disegni nessuno degli Zoppas
ha mai saputo niente. Mai, prima della curiosa e fortunata esperienza
di Hong Kong. Dunque. La Zoppas è oggi uno dei più
importanti complessi industriali italiani per la fabbricazione degli
elettrodomestici. Le sue forze di lavoro sono costituite da oltre
3.000 dipendenti, fra operai e impiegati, da altri 1.000 fra agenti
e rappresentanti, e la produzione giornaliera tocca i 3.000 pezzi,
cioè frigoriferi, cucine, impianti di grandi cucine, lavatrici,
lavastoviglie, lucidatrici, vasche da bagno, scaldabagni che per
una parte sono assorbiti dal mercato interno e per il resto vengono
esportati in 92 paesi di 5 continenti. Il marchio è quindi
ben noto a tutti. È nota anche la bizzarra zeta in gotico
che serve a farlo riconoscere con facilità e a meglio imprimerlo
nella mente.
Questa zeta in gotico tracciata con qualche
estrosa licenza ha ben corrisposto alle intenzioni. Nessuno però,
poteva immaginare che a Hong Kong avrebbe fatto furori. Proprio
così. Quando l’insegna luminosa della Zoppas, alta venti
metri, ha lampeggiato nella notte della babelica Hong Kong, tutti
laggiù hanno detto che si trattava di una magnifica trovata.
Tutti, meno gli Zoppas che non potevano sapere quale arcano significato
avesse per i cinesi un simbolico disegno che, tracciato a pennello,
corrisponde da noi alla gotica zeta. È un disegno o un segno
che sta per tutto un discorso rivolto a propiziare la più
larga protezione divina. Nell’uso più corrente e popolare
ha la funzione di portafortuna e perciò lo si ritrova in
ogni dono che venga offerto in qualsiasi occasione, perfino dipinto
sulle vestine dei bimbi. Evidentemente a Hong Kong è un simbolo
che fa piacere vedersi dintorno. Di qui la trovata o, per dire il
vero, il fortunato caso della Zoppas. Credenti o superstiziosi che
siano, i cinesi non possono che accogliere con simpatia nelle loro
case gli elettrodomestici Zoppas arricchiti da quell’uncino di buon
auspicio".
— Che coincidenza, proprio in questi giorni
sul Corriere della Sera ho letto una curiosità sulla zeta
di Zorro, dove si dice che la Z con cui firma le sue imprese non
sta per Zorro, ma per Ziza, un’antica parola che vuol dire splendente,
ed è quindi un simbolo dell’energia vitale. I massoni l’hanno
inserita nella loro stella fiammeggiante e per loro è diventata
il simbolo del genio capace di innalzare gli uomini a nobili imprese.
— Tornando alla zeta della Zoppas, molti
di voi siccome quella lettera così particolare non era disponibile
sulla tastiera, raggiungevano un buon risultato battendo il numero
tre al posto della zeta: 3oppas.
Sorrisero entrambi di quel trucco dattilografico.
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