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CONTROCATENA
— Guarda chi si vede.
È proprio la giornata della Zoppas,
considerò Giuseppe. Se lo ricordava ancora con altri sindacalisti
dietro a un asino nero con un cartello e la scritta: I padroni sono
più cocciuti di me. Faceva parte del picchetto all’ingresso
della fabbrica, lo sciopero era quello lunghissimo del ’60. Il sindacalista
era ingrassato, una volta era un’acciuga.
— Sono andato alla mostra, rispose Giuseppe,
sai quella sulla Zoppas, poi due chiacchiere dalla Emma, stavo andando
a casa. Pensavo agli operai che sono usciti dalla Zoppas e hanno
messo su un’azienda per conto loro.
— E gli infortunati alle macchine, gli
operai che si sono riempiti i polmoni di polvere in fonderia, il
personale licenziato solo perché voleva svolgere dell’attività
sindacale?
— Sei sempre il solito, ma la ragione
non sta mai da una parte sola.
— Certo alcuni capitoli della nostra storia
vanno riscritti, togliendo quell’emotività e quella politicizzazione
tipica di quegli anni. C’era un sacco di gente che aveva una concezione
tutta sua del lavoro, i millemestieri, quelli che si arrangiavano
facendo un sacco di cose, i contadini rimasti senza terra, tutta
gente che entrava in fabbrica e si trovava di fronte alla rigidità
dei processi di produzione. Per quelli ci voleva una disciplina
ferrea se no si imboscavano, oppure lavoravano male. Poi c’erano
quelli ai quali non riuscivamo a spiegare le nostre ragioni o che
non volevano ascoltarle, ed erano tantissimi, altri che non si iscrivevano
perché l’aveva detto il parroco. Insomma è una storia
che va riscritta fuori dal cono d’ombra delle ideologie. Lo scontro
fu durissimo. Ma te li ricordi gli scioperi per la mensa? Fino al
’51 ci davano quella minestra disgustosa, e non erano più
di 50 gli operai che se la mangiavano. E proprio per avere una buona
minestra abbiamo fatto il nostro primo sciopero nel 1956. Fu un
disastro. Il Sindaco ci vietò di affiggere i manifesti, gli
stessi operai non tennero duro, e poi noi come sindacato eravamo
divisi: da un lato la Cgil era troppo politicizzata, era vista come
l’emanazione del Partito Comunista ed esaltava il sistema sovietico,
dall’altra la Cisl, ancora indecisa e incapace di dialogare con
una massa di operai in gran parte contraria al sindacato.
Ci vollero altri quattro anni per combinare
qualcosa di buono, il 19 settembre 1960, te lo ricordi, venne proclamato
il primo sciopero nazionale indetto da tutte le organizzazioni sindacali
per la parità salariale fra uomini e donne, per i lavoranti
alle linee e per altri diritti. I padroni non volevano cedere. Siamo
andati avanti un bel po’ fino alla dichiarazione di guerra del 18
novembre: lo sciopero a tempo indeterminato.
Commercianti, contadini, gente comune
ci diedero una mano in quelle settimane, anche il vescovo Albino
Luciani era dalla nostra e il Sindaco di Orsago, che per una ventina
di operai del paese in sciopero alla Zoppas da 27 giorni, propose
alla Giunta di disporre con urgenza l’erogazione di 50.000 lire
alle loro famiglie.
Creammo le casse di resistenza e ci aiutarono
in tanti. I contadini con polli, vino, farina, grano, zucche. Ce
li portavano sui carri e poi li distribuivano davanti ai cancelli
della fabbrica o nelle sedi sindacali.
Solo prima di Natale, nella notte fra
il 17 e il 18 dicembre, la trattativa si concluse e fra gli impegni
presi dalla Zoppas c’era anche quello sulla fatidica mensa. Dopo
sono venuti gli scioperi del ’62 con personaggi come Armando Vanzella
e Toni Giandon, i primi due impiegati che ebbero il coraggio di
iscriversi al sindacato, Franco Bentivogli, Sergio Marchesin e Agostino
Pavan il segretario della Cisl.
Quella lettera di Pavan che rispondeva
al Monsignore me la ricordo ancora. Le avevo imparate a memoria
tutte e due. Monsignor Francesco Sartor nell’ottobre del ’62 aveva
scritto:
"Non posso rimanere indifferente
e assente di fronte a quanto sta succedendo a Conegliano nei riguardi
degli scioperi in corso. Persone molto vicine all’ambiente ecclesiastico,
molto assennate ed equilibrate, completamente estranee alla vita
dell’Azienda Zoppas e che in città occupano posti di fiducia,
riferiscono che le maestranze della Zoppas aizzate dalla Cisl si
sono tremendamente accanite nella lotta ed hanno varcato i limiti
della correttezza e della civiltà. Sacerdoti riferiscono
che i sistemi della Cisl — sotto un certo aspetto — sono peggiori
di quelli della Cgil . Ad esempio dimostranti della Zoppas hanno
aggredito elementi del personale dirigente, hanno insultato signorine
impiegate con parole ingiuriose e immorali: e dopo il comizio del
signor Neri, hanno tentato due volte di bloccare il traffico nel
centro della città, disturbando passanti e forestieri. Tali
sistemi di agitazione sono tanto più da deplorare in quanto
promossi e diretti da una organizzazione sindacale sorta a difesa
e a salvaguardia della libertà, contro altre organizzazioni
del genere che avvelenano le masse con il principio anticristiano
della lotta di classe. Da troppo tempo ormai a Conegliano si sobillano
le masse lavoratrici e si è turbata la vita tradizionalmente
tranquilla della nostra gente. Bisogna cambiare sistema e trovare
il modo di risolvere questioni e problemi con mezzi corretti, civili
e legali. Mi rivolgo a lei Onorevole, chiedendo il Suo valido ed
autorevole intervento per il trionfo della giustizia nella legalità
e per la pace di Conegliano".
Senti la risposta di Pavan, memorabile:
"Se gli operai sentono di scioperare e cioè di prendere
posizione, ciò non dipende da noi, ma perché sussiste
un fatto, una rivendicazione. Si aizzano i cani o le bestie e non
credo che gli operai si comportino come cani o bestie. Né
può reggere l’affermazione che noi siamo peggio dei comunisti.
Se ieri, quando alla Zoppas dominava la Cgil, si andava meglio,
ciò non è perché noi abbiamo vinto questa gara
nella concorrenza a chi fa più il demagogo, ma semplicemente
perché comunisti e Cgil erano disposti a lasciar correre
rivendicazioni sindacali pur di perseguire con maggior attenzione
risultati politici. Secondo Lei, Monsignore, i comunisti preferiscono
che l’operaio stia bene, sia rispettato e ben trattato oppure che
permangano i motivi di malcontento e di ribellione? Ci sono state
invece recriminazioni, anche forti, ne convengo, contro i crumiri.
Ma chi e cosa offende il crumiro? Offende la solidarietà
che, per il cristiano, vuol dire fratellanza. Non dobbiamo piangere
con chi piange, soffrire con chi soffre, lottare con chi deve lottare,
e cioè far causa comune con chi è in difficoltà?
E chi è normalmente il crumiro? L’impiegato o impiegata,
persone più istruite e — specie a Conegliano — più
formate soprattutto nell’Azione Cattolica. E per costoro non c’è
il problema dell’esempio che, messo in chiave negativa, equivale
a scandalo? Certo che si attirano parole ingiuriose dagli operai.
Ma non sono essi a provocare l’operaio stesso? Oltre tutto non compete
a noi la formazione morale dell’operaio, ma solo quella sindacale
e civile in senso lato. E credo, Reverendo Monsignore, che abbiamo
fatto — e nessuno lo può negare — questo duro lavoro, troppo
spesso annullato o ridotto dal comportamento degli imprenditori
che, soprattutto a Conegliano, si sentono di dovere di più
alla solidarietà della loro categoria che al trattamento
dei loro dipendenti, e da quello, appunto, dei colleghi di lavoro
più istruiti e capaci che negano il buon esempio ai più
poveri di formazione e di istruzione. I pochi che questo dovere
hanno sentito, proprio alla Zoppas, sono stati licenziati. Chi vuole
allora la massa minacciosa, incivile e magari violenta è
quindi l’imprenditore che spera sempre nella repressione a suo vantaggio.
Lo so, Reverendissimo Monsignore, è facile attirare su di
noi l’accusa di essere peggiori dei comunisti, di essere fomentatori
di disordine, di essere degli esaltati. È il nostro destino,
com’è il destino per il sacerdote — fatte le debite proporzioni
con il rispetto dovuto alla sacralità della missione — essere
oggetto di continua condanna. Ma siamo andati bene ed abbiamo fatto
comodo quando si trattava di salvare il paese dal comunismo, di
salvare l’iniziativa e la proprietà privata (che vanno salvate
sia chiaro...), ciò ha permesso agli imprenditori di moltiplicare
i posti di lavoro, certo, ma molto di più i propri cespiti".
Aveva finito di declamare quelle due lettere
che doveva aver letto chissà quante volte, gli piacevano
proprio.
Giuseppe pensò che se continuava
a parlare del sindacato era capace di andare avanti fino a mezzanotte.
Infatti proseguì sollecitando l’attenzione di Giuseppe con
una energica stretta al braccio destro, poco sopra il gomito.
— E Controcatena te lo ricordi, il giornale
fondato da Sergio Marchesin della Cgil nel ’62, e Cronache della
Resistenza della Cisl? Ne facevano di denunce sulle condizioni del
lavoro, sui comportamenti di certi impiegati o di certi capireparto.
Pensa che nel ’67 Controcatena scrisse che alla Zoppas c’erano 800
infortuni all’anno, pari al 25 per cento degli operai occupati,
150 assenze degli operai nei reparti più duri, la smalteria
e la fonderia, e 465 assenze per malattia nel resto dell’azienda.
— Sì, disse Giuseppe, è
quello che scrisse anche l’Unità, ma non ti sembra che siano
dati esagerati, visti i tempi?
— Può darsi, ma i problemi c’erano
e i toni erano esasperati da una parte e dall’altra. Poi ci fu il
Sessantotto, gli anni settanta, oggi l’Azienda è diventata
una religione, un valore, si beatificano i fatturati ma il conto
in rosso dell’Anima e della Natura non appare nei bilanci ufficiali.
Gli argomenti erano così grandi,
che si spensero in un sospiro. Tacque con gli occhi bassi come se
cercasse nuove parole, poi rinunciò e salutò Giuseppe.
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